Elisa

Che il tuo nome è come schiacciare, rompere.
Tu, che a guardarti sembri di ceramica. Sottile. Bianca. Lunga.
Tu che neppure in vento ti si avvicina per paura di farti male.

Tu, stasera.

Ti ho vista. Al di là delle vie che ci separano. Dei muri. Ti ho vista muovere lenta le dita sulla tastiera.
Le tue dita da pianista che non si sono mai appoggiate a un piano. Eppure.

Ti ho vista. Leggevi il mio dolore delirante. Scuotevi la testa.
Sei tu, ma sei diversa.
Sono io, e sono sempre uguale.

Come se non avessi imparato nulla. (E’ intelligente, ma non si applica)

Ho tagliato quella radice. Quella che mi teneva attaccata a un albero e non mi faceva vedere il sole.
E ora me ne sto qui, con la mia radice in mano a grondare linfa. Recisa.

Elisa son recisa.

Ridi. Perché io riesco a scherzare anche con una radice che cola sangue verde tra le mani. E mi si sono sporcati i vestiti. E l’erba è bastarda da togliere. E mia madre mi direbbe di usare il dash, che come il dash non ce n’è. E io le risponderei di guardare meno tv. Poi ci penserei su, e le direi: guardala!, e tanto, che finché stai inchiodata al nulla non parli. Non fai rumore.

E tu invece al dash non ci pensi. Per quanto ne sai questi vestiti potrei anche buttarli via. Via questo costume da pianta ammosciata. Si cambia campo.

Ma l’albero… vorrei dirti…ma tu non mi lasci parlare.

Sto male.
Bene!
Ma come bene? Ho detto male.
Appunto.

Ecco. Come dire, il piscio fa schifo ma se ti ci fai un bagnetto tutti i giorni vedrai che pelle che ne vien fuori.

E allora è vero che sto nel piscio, ma è alle rughe che devo pensare.

E’ chiaro.

Elisa son recisa.

E non ridere adesso. E muovi quelle mani su quei tasti. E scrivi. Scrvi qualcosa che non so. Qualcosa che potrebbe farmi stare meglio di come sto ora.

Oppure abbracciami. Scrivi una parola che sia un abbraccio. Fammi indossare le tue braccia come un maglione di lana fatto ai ferri dalla nonna. Oppure come una camicia di forza, che mi contenga. Che plachi un poco questo singhiozzare nevrotico che non si ferma. Non si ferma.

Ora sai, è bene. Così mi scrivi: è bene.

Scusa, da quando la sapienza fa bene all’uomo?
Ero distratta al catechismo, è vero, eppure mi sembra di ricordare di un frutto proibito (che è poi stato trasformato in una mela, con un’astuta operazione di marketing, dalla corporazione degli agricoltori trentini – o chi per loro).
E il frutto era proibito perché portatore di conoscenza (ovvero dell’esistenza del bene e del male).

Ecco, non mi pare che dopo aver assaggiato la mela (e diamo una mano ai prodotti locali!), Adamo ed Eva abbiano goduto di una vita piena di felicità. Lavorare con sudore. Partorire con dolore. E lava e stira e porta i bambini a scuola e chi ha lasciato ‘sto macello in bagno? Mi avete presa per una colf?

Elisa son recisa.

E la storia che sapere è meglio, non so, non mi convince.

Dalla cenere rinascerà la Fenice.
Cenere eri e cenere tornerai.
A chi credo?

A me?
A te?
A lui?

Elisa son recisa.
E i travasi, non so.

 

Che il tuo nome è come rompere, schiacciare.

E mi stai schiacciando la radice. Potresti spostare il piede? Mi fai male.

 

Non bene. MALE.


2 thoughts on “Elisa

  1. papoff ha detto:

    abbraccio. come fosse una coperta rimboccata la sera, prima di dormire

  2. ProfStanco ha detto:

    Fa davvero bene sapere?
    No.
    Per nulla, spesso è meglio non sapere.
    Fingere di non sapere.
    Fingere così bene da dimenticare quello che si sapeva.
    E’ meglio.
    Ci si rimbocca molto meglio nelle coperte.
    Parecchio molto.

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